Lo stesso Habermas e tutti i sostenitori oggi di vie diverse della e alla ragione, si riferiscono per trovare la propria giustificazione, sempre “razionale”, alla teoria dell’ermeneutica: il nome che ricorre più spesso è infatti quello di Hans Georg Gadamer, cui si affiancano in Francia quello di Ricoer (molto noto anche in Italia) e in Italia quello di Pareyson. Secondo l’ermeneutica (hermeneuo significa “interpreto” “spiego”, in greco, e forse esiste un collegamento con Hermès, “intermediario tra gli dei e gli uomini”) significa interpretazione di un testo, cioè riferimento alle leggi che permettono l’interpretazione stessa: il tema non è nuovo e risale alla cultura classica. Gadamer ne è fautore: esistono, secondo Gadamer, verità extrametodiche, cui le scienze dello spirito pervengono per vie diverse rispetto le scienze matematiche e a quelle della natura. Esse hanno un proprio metodo, estraneo a quello che lascia al di fuori di sé oggetto e soggetto: il procedimento è di tipo ermeneutico, cioè interpretativo, in cui avviene un dialogo tra interprete e testo (testo storico, per esempio), da una pre-comprenzione, un pre-giudizio, un’aspettativa, una pre-supposizione, a una verifica continua nel testo stesso, che è quindi sempre “distante”, rivela la sua alterità, “urta” contro la precomprenzione per offrire interpretazioni sempre più adeguate, in una tensione soggetto-oggetto che rappresenta “una fusione di orizzonti” dove è l’autentica comprensione. Tra interprete e testo, tra soggetto e oggetto, avviene una comunicazione, un dialogo come abbiamo già detto: lo storico, per esempio, porta con sé, nella valutazione degli eventi storici, la sua storia personale e culturale, la tradizione di quella disciplina, le sue ipotesi, le sue aspettative: si accosta alle fonti con qualcosa che va verificato sulla fonte stessa; verifica che lo coinvolge nel senso che egli allarga il suo orizzonte, muta o convalida i suoi pregiudizi, procede verso una oggettività sempre più ampia e profonda, senza mai raggiungere pienamente l’oggetto. Si pensi al metodo ciclico comeniano, alla “enkýklios paideía” (già in Plutarco), nel cui concetto si potrebbe trovare non poche analogie rispetto al circolo ermeneutico e alla sua fusione di orizzonti. Il testo offre allora un senso, dice qualcosa all’interprete, il quale prende sempre più coscienza dei pregiudizi passando da un’esperienza (scientifica o comune) attraverso urti e contraddizioni a nuove esperienze più oggettive. L’immagine del circolo indica proprio la varietà dei significati: se ho un oggetto e mi metto in una posizione diversa per osservarlo, riesco a vederlo in una luce diversa; ogni interpretazione allora può essere considerata un orizzonte e attraverso la fusione dei vari orizzonti l’interpretazione diventa sempre più veritiera, sempre più efficace e adeguata al testo, anche se esso rinvia sempre a qualcosa d’altro, resta quindi sempre distante. Si pensi alla poesia, alla possibilità che in ogni epoca lo stesso autore dica qualcosa di completamente nuovo rispetto ai periodi precedenti. Il prendere coscienza dei propri pregiudizi può portare anche a sconvolgere la visione del mondo (le rivoluzioni scientifiche di Khun); si pensi alla figura immaginaria e insieme scientifica di Schliemann, che fece archeologia a suo modo, credendo pienamente alla poesia di Omero e andando in cerca dei luoghi e dei personaggi da lui cantati. Certo siamo costretti a dire che solo in parte è vero quello che egli ha intuito, siamo cioè costretti a rivedere le nostre aspettative di fronte alla archeologia successiva, dobbiamo riorganizzare i dati e in ciò si arriva a qualche cosa di nuovo, di diverso. Ma che cosa c’è di diverso in questa prospettiva ermeneutica rispetto a quello che diceva Popper? Anche Popper parlava di urto con i fatti, di ipotesi che possono essere falsificate dalla realtà. Ma il dato nuovo è rappresentato da un’altra prospettiva: l’esperienza che il soggetto fa nel suo urto, anche nel suo sconvolgimento rispetto ai dati nuovi, non riguarda solo il prodotto, il dato (come fa lo scienziato di fronte ad un nuovo elemento), ma riguarda anche l’agire dell’uomo stesso; agire capace di modificare tutto intero il sapere personale, di renderlo aperto al nuovo, di sconvolgere le nostre aspettative orinandosi così il modo diverso.
D. Orlando Cian Introduzione a una epistemologia dell’educazione
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