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LÉVI-STRAUSS



Proibizione dell’incesto e passaggio dalla natura alla cultura
Per Lévi-Strauss la proibizione dell’incesto (il divieto di unirsi sessualmente e/o in matrimonio con determinati individui) è una regola che, «unica tra tutte le regole sociali», possiede il carattere dell’universalità. Dove per universalità si deve intendere il fatto che, indipendentemente dalla categoria di parenti toccati di volta in volta dalla proibizione, il divieto in quanto tale è sempre presente, in tutte le società. Appartenente alla sfera della cultura in quanto regola (norma), ma radicata allo stesso tempo nella natura in quanto fenomeno universale, la proibizione dell’incesto segna il passaggio dalla natura alla cultura.

Il concetto di struttura
Lévi-Strauss parla dunque di strutture di parentela, elementari e complesse. Ma quando si parla di strutturalismo antropologico, di “antropologia strutturale” (un termine entrato nell’uso dalla pubblicazione di un libro del 1958 di Lévi-Strauss che porta questo titolo), si vuole indicare un’altra cosa. Con l’espressione «antropologia strutturale» si intende definire una teoria più ampia, di cui Lévi-Strauss è il fondatore, la quale include anche le riflessioni sulla parentela, e che ruota attorno ad una concezione particolare del concetto di “struttura”.
Come sappiamo, la qualifica di strutturale viene applicata anche alle teorie di Radcliffe-Brown relative alla «rete» delle relazioni sociali che, per l’antropologo britannico, costituivano un insieme di elementi interconnessi, una struttura appunto. In Lévi-Strauss invece questo termine designa un livello di fenomeni radicalmente differente da quello cui si riferiva la nozione di struttura in Radcliffe-Brown, per il quale essa individua una realtà concreta, corrispondente, come abbiamo detto, al complesso delle relazioni sociali.
Il problema dello statuto ontologico della struttura sociale venne in effetti sollevato da Lévi-Strauss in un articolo del 1953 intitolato Il concetto di struttura in etnologia. Qui Lévi-Strauss ridiscusse l’uso che di questo termine si era fatto nei settori più disparati della disciplina antropologica. Rispondendo a chi, come A.L. Kroeber, vedeva ormai nel termine “struttura” una parola priva di qualunque valore euristico, egli insisteva invece sulla sua utilità, in quanto il termine stesso designava per Lévi-Strauss un concetto dotato di un significato molto specifico.
Nell’articolo del 1953 Lévi-Strauss criticava Radcliffe-Brown per quanto riguarda il suo modo di concettualizzare la struttura sociale. Lévi-Strauss criticava in primo luogo l’analogia tra la struttura dell’organismo e quella della società, una analogia che riduce la struttura ad una forma fenomenica; inoltre il fatto di ricondurre lo studio delle strutture sociali ad un livello che è quello della morfologia e della fisiologia descrittive, infine egli rigettava la riduzione della struttura sociale alla semplice somma delle relazioni sociali. Per Lévi-Strauss, in conclusione, quello di Radcliffe-Brown era un piatto empirismo.
Il concetto di struttura sociale, sostiene invece Lévi-Strauss, non ha alcun referente empirico. I suoi referenti sono i modelli costruiti in base ad essa. Risulta così la differenza tra due concetti poiché, dice Lévi-Strauss, «le relazioni sociali sono la materia prima impiegata per la costruzione dei modelli che rendono manifesta la struttura sociale».
La struttura è per Lévi-Strauss una «categoria» dello spirito umano. Il pensiero funziona grazie all’opposizione tra termini come alto/basso, destra/sinistra, crudo/cotto ecc. Si tratta di opposizioni prive di contenuto, “vuote”, che servono a ordinare il mondo dell’esperienza, naturale e sociale, al fine di farne un oggetto del pensiero.
U. Fabietti Storia dell’antropologia

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