
Ma che cosa c’è nella depressione che spinge così disperatamente al suicidio? È un mistero. Altri pazienti in condizioni obiettivamente più tragiche e senza alcuna speranza di guarigione, come i malati terminali, ci pensano molto meno e comunque, nell’eutanasia non si cerca la fine della vita, ma una morte migliore. Con profonda comprensione del senso tragico di questa malattia l’autrice chiama il suicidio «l’eutanasia della depressione». Il suicidio è un mistero, ma alcune cose si possono comprendere.
La sofferenza del vivere e la perdita di ogni speranza rendono l’idea della morte una prospettiva di liberazione. La perdita di speranza deriva anche dalla certezza che la sua depressione non è curabile, e non è una depressione come le altre. Tale convinzione fa sì che il depresso rifiuti le terapie creando angosciosi problemi a chi lo assiste e al medico.
La sofferenza psichica a volte, come nella depressione agitata, diventa un vero dolore psichico, straziante e insopportabile, e il malato può procurarsi un forte dolore fisico, un’ustione, un taglio, nella speranza di sentire meno dolore psichico. Determinanti sono i sensi di colpa, sempre fuori dalla realtà, deliranti. La depressione viene vissuta non come una malattia, ma come uno stato naturale e normale. Il senso di colpa è stato sempre un elemento caratteristico della depressione e nei tempi passati aveva un significato religioso. Di Bellerofonte, nell’Illiade, si dice «Ma quando anch’egli fu in odio a tutti inumi, allora errava solo per la pianura Alea consumandosi il cuore, fuggendo orma d’uomini». Bellerofonte morì in questo stato. Nella Bibbia: «Lo spirito del Signore si era ritirato da Saul e uno spirito malo lo vessava». Il re Saul si tolse la vita.
A questi sensi di colpa è affine un penoso senso di indegnità: il depresso non si sente degno della stima degli altri, ma anche fonte di infelicità e di molte disgrazie. La gente si meraviglia che il suicida non consideri il dolore degli altri. Chi pensa questo ignora che il suicida spesso crede di fare proprio il bene degli altri. Van Gogh dice al fratello Theo prima di morire: «Non soffrire, l’ho fatto perché è meglio per tutti».
Virginia Woolf scrive al marito nella sua ultima lettera: « Tuttavia so che non ne verrò mai fuori, e sto rovinando la tua vita, È questa mia follia. Nessuno può dire nulla per persuadermi. Tu puoi lavorare e starai meglio senza di me».
La causa essenziale del suicido forse sta, come dice l’autrice, nell’impossibilità di vivere. Tutti i legami con la vita sono tagliati. Non si tratta solo di anedonia, cioè di non sentire il piacere delle cose. Si tratta di una resezione del legame che si stabilisce naturalmente inconsapevolmente con tutte le cose che percepiamo. Evidentemente, nella vita quotidiana e senza che ce ne rendiamo conto, instauriamo un rapporto carico di significati e di affetti con ogni cosa che noi esperiamo, anche la più insignificante.
A. Arachi, A Koukopoulos, Lunatica
La sofferenza del vivere e la perdita di ogni speranza rendono l’idea della morte una prospettiva di liberazione. La perdita di speranza deriva anche dalla certezza che la sua depressione non è curabile, e non è una depressione come le altre. Tale convinzione fa sì che il depresso rifiuti le terapie creando angosciosi problemi a chi lo assiste e al medico.
La sofferenza psichica a volte, come nella depressione agitata, diventa un vero dolore psichico, straziante e insopportabile, e il malato può procurarsi un forte dolore fisico, un’ustione, un taglio, nella speranza di sentire meno dolore psichico. Determinanti sono i sensi di colpa, sempre fuori dalla realtà, deliranti. La depressione viene vissuta non come una malattia, ma come uno stato naturale e normale. Il senso di colpa è stato sempre un elemento caratteristico della depressione e nei tempi passati aveva un significato religioso. Di Bellerofonte, nell’Illiade, si dice «Ma quando anch’egli fu in odio a tutti inumi, allora errava solo per la pianura Alea consumandosi il cuore, fuggendo orma d’uomini». Bellerofonte morì in questo stato. Nella Bibbia: «Lo spirito del Signore si era ritirato da Saul e uno spirito malo lo vessava». Il re Saul si tolse la vita.
A questi sensi di colpa è affine un penoso senso di indegnità: il depresso non si sente degno della stima degli altri, ma anche fonte di infelicità e di molte disgrazie. La gente si meraviglia che il suicida non consideri il dolore degli altri. Chi pensa questo ignora che il suicida spesso crede di fare proprio il bene degli altri. Van Gogh dice al fratello Theo prima di morire: «Non soffrire, l’ho fatto perché è meglio per tutti».
Virginia Woolf scrive al marito nella sua ultima lettera: « Tuttavia so che non ne verrò mai fuori, e sto rovinando la tua vita, È questa mia follia. Nessuno può dire nulla per persuadermi. Tu puoi lavorare e starai meglio senza di me».
La causa essenziale del suicido forse sta, come dice l’autrice, nell’impossibilità di vivere. Tutti i legami con la vita sono tagliati. Non si tratta solo di anedonia, cioè di non sentire il piacere delle cose. Si tratta di una resezione del legame che si stabilisce naturalmente inconsapevolmente con tutte le cose che percepiamo. Evidentemente, nella vita quotidiana e senza che ce ne rendiamo conto, instauriamo un rapporto carico di significati e di affetti con ogni cosa che noi esperiamo, anche la più insignificante.
A. Arachi, A Koukopoulos, Lunatica
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