
Se per alcuni etologi quello aggressivo è un atteggiamento indotto e influenzato dall’ambiente; per la maggior parte degli autori l’aggressività è il modo di estrinsecarsi di una pulsione che si origina all’interno del corpo e deve scaricarsi, cioè manifestarsi al livello della coscienza e quindi essere soddisfatta come espressione di un bisogno.
Secondo l’accezione freudiana essa deriverebbe dall’istinto di morte, Thanatos, contrapposto all’Eros, pulsione di autoconservazione. Per Jung è collegata ad una rappresentazione archetipica inconscia, mentre Lorenz postula che un impulso aggressivo di base abbia la funzione di conservazione della specie.
Secondo Winnicott l’aggressività è sinonimo di attività, è spinta alla conoscenza che si produce nell’incontro/scontro con ciò che è altro da sé e che manifesta la spinta individuativa alla soggettività contro ciò che tenderebbe ad ostacolarla.
È comunque indubitabile che l’aggressività fa parte della personalità umana in cui si manifesta precocemente, e che da sempre ha costituito un problema per l’uomo, inteso sia individualmente che socialmente. Questo è facilmente spiegabile se consideriamo che, mentre ad esempio l’istinto alla conservazione espresso dalla fame è soddisfatto dal ricevere, l’istinto aggressivo, del pari fondamentale, per la sopravvivenza, è soddisfatto attraverso un agire in modo aggressivo. Esso è quindi destinato a turbare l’ambiente sociale le cui risposte condizionano l’autostima dell’individuo. Riportando i termini dell’argomento alle fasi evolutive dell’infanzia, si può verificare che, a seconda dell’accettazione più o meno equilibrata da parte dell’adulto dell’aggressività emergente nel bambino, si può formare o meno un Io, prima infantile e poi adulto, che è capace di trasformare una spinta istintuale bruta in atteggiamenti vantaggiosi, personalmente e socialmente, di competitività, intraprendenza e sicurezza.
Secondo l’accezione freudiana essa deriverebbe dall’istinto di morte, Thanatos, contrapposto all’Eros, pulsione di autoconservazione. Per Jung è collegata ad una rappresentazione archetipica inconscia, mentre Lorenz postula che un impulso aggressivo di base abbia la funzione di conservazione della specie.
Secondo Winnicott l’aggressività è sinonimo di attività, è spinta alla conoscenza che si produce nell’incontro/scontro con ciò che è altro da sé e che manifesta la spinta individuativa alla soggettività contro ciò che tenderebbe ad ostacolarla.
È comunque indubitabile che l’aggressività fa parte della personalità umana in cui si manifesta precocemente, e che da sempre ha costituito un problema per l’uomo, inteso sia individualmente che socialmente. Questo è facilmente spiegabile se consideriamo che, mentre ad esempio l’istinto alla conservazione espresso dalla fame è soddisfatto dal ricevere, l’istinto aggressivo, del pari fondamentale, per la sopravvivenza, è soddisfatto attraverso un agire in modo aggressivo. Esso è quindi destinato a turbare l’ambiente sociale le cui risposte condizionano l’autostima dell’individuo. Riportando i termini dell’argomento alle fasi evolutive dell’infanzia, si può verificare che, a seconda dell’accettazione più o meno equilibrata da parte dell’adulto dell’aggressività emergente nel bambino, si può formare o meno un Io, prima infantile e poi adulto, che è capace di trasformare una spinta istintuale bruta in atteggiamenti vantaggiosi, personalmente e socialmente, di competitività, intraprendenza e sicurezza.
Marcuccini, Massarelli, Pianesi, Savelli L'educatore nell'asilo nido
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