
Lo Spaccio rappresenta il tentativo di abbattere gli antichi vizi (simboleggiati dalle «bestie » dello zodiaco), per sostituire ad essi nuove virtù e nuovi valori. Si tratta essenzialmente di una lotta contro le superstizioni, tra cui Bruno colloca le religioni, tanto quella cattolica che quella protestante.
Nelle varie virtù esaltate da Bruno (la verità, la prudenza, la sapienza) – contro l’ideale puramente contemplativo del Medioevo - , si può intravedere l’affermazione della civiltà «mondana», attiva e produttiva, del Cinquecento (da lui conosciuta nei suoi viaggi, ed apprezzata specialmente in Francia). Ad essa si riallaccia l’esaltazione della mano, alla quale (secondo l’antica osservazione di Anassagora) è legata l’intelligenza dell’uomo, e si riallaccia anche l’esaltazione di un ordinato vivere fra gli uomini, in cui siano fondamentali le virtù della conoscenza.
Il legame tra conoscenza e azione è ribadito anche nel dialogo De gli eroici furori, dove è particolarmente rilevante la lode rivolta alla «dea Diligenza» - cioè il principio dell’umana attività, condizione del progresso civile – che si rivela come una delle espressioni fondamentali dell’«eroico furore» con cui Bruno, riprendendo il tema platonico dell’amore, identifica essenzialmente lo sforzo dell’uomo di cogliere con l’intelletto l’unità del reale. Esso non significa, infatti che la ricerca intellettuale si concluda nell’estasi mistica, sia perché questa ricerca è uno sforzo destinato perennemente a rinnovarsi sia perché il suo senso è di mobilitare tutte le energie dell’uomo, conformemente al suo compito, che è, come altrove afferma Bruno, quello di operare e di modificare con la sua opera la realtà.
«Gli dei avevano donato all’uomo l’intelletto e le mani, e l’avevano fatto simile a loro, donandogli facultà sopra gli altri animali la qual consiste non solo in poter operare secondo la natura ed ordinario, ma, ed oltre, fuor le leggi di quella; acciò formando e possendo formar altre nature, altri corsi, altri ordini con l’ingegno, con quella libertade, senza la quale non arrebbe detta similitudine, venesse ad serbarsi dio de la terra. Quella certo, quando verrà ad essere ociosa, sarà frustrato ria e vana, come indarno è l’occhio che non vede, e mano che non apprende. E per questo ha determinato la providenza, che vegna occupato nell’azione per le mani, e contemplazione per l’intelletto; de maniera che non contemple senza azione, e non opre senza contemplazione» (De gli eroici furori, p. 74.)
L’«eroico furore» trasforma la supina accettazione della natura in una riconquista spirituale; in questo modo trasforma la base animalesca - «l’asinità», come dice Bruno – degli uomini invera umanità o meglio in una divinità terrena; la natura animale e l’accettazione supina son l’«essere cose nel mondo», e da esse ci si riscatta con un atto imperioso di liberazione morale. La storia di questa emancipazione è la storia della vittoria della moralità sulla naturalità, culminante in quella unificazione dell’uomo con la natura posta a conclusione de3lla filosofia bruniana.
L. Geymonat, Immagini dell’uomo
Nelle varie virtù esaltate da Bruno (la verità, la prudenza, la sapienza) – contro l’ideale puramente contemplativo del Medioevo - , si può intravedere l’affermazione della civiltà «mondana», attiva e produttiva, del Cinquecento (da lui conosciuta nei suoi viaggi, ed apprezzata specialmente in Francia). Ad essa si riallaccia l’esaltazione della mano, alla quale (secondo l’antica osservazione di Anassagora) è legata l’intelligenza dell’uomo, e si riallaccia anche l’esaltazione di un ordinato vivere fra gli uomini, in cui siano fondamentali le virtù della conoscenza.
Il legame tra conoscenza e azione è ribadito anche nel dialogo De gli eroici furori, dove è particolarmente rilevante la lode rivolta alla «dea Diligenza» - cioè il principio dell’umana attività, condizione del progresso civile – che si rivela come una delle espressioni fondamentali dell’«eroico furore» con cui Bruno, riprendendo il tema platonico dell’amore, identifica essenzialmente lo sforzo dell’uomo di cogliere con l’intelletto l’unità del reale. Esso non significa, infatti che la ricerca intellettuale si concluda nell’estasi mistica, sia perché questa ricerca è uno sforzo destinato perennemente a rinnovarsi sia perché il suo senso è di mobilitare tutte le energie dell’uomo, conformemente al suo compito, che è, come altrove afferma Bruno, quello di operare e di modificare con la sua opera la realtà.
«Gli dei avevano donato all’uomo l’intelletto e le mani, e l’avevano fatto simile a loro, donandogli facultà sopra gli altri animali la qual consiste non solo in poter operare secondo la natura ed ordinario, ma, ed oltre, fuor le leggi di quella; acciò formando e possendo formar altre nature, altri corsi, altri ordini con l’ingegno, con quella libertade, senza la quale non arrebbe detta similitudine, venesse ad serbarsi dio de la terra. Quella certo, quando verrà ad essere ociosa, sarà frustrato ria e vana, come indarno è l’occhio che non vede, e mano che non apprende. E per questo ha determinato la providenza, che vegna occupato nell’azione per le mani, e contemplazione per l’intelletto; de maniera che non contemple senza azione, e non opre senza contemplazione» (De gli eroici furori, p. 74.)
L’«eroico furore» trasforma la supina accettazione della natura in una riconquista spirituale; in questo modo trasforma la base animalesca - «l’asinità», come dice Bruno – degli uomini invera umanità o meglio in una divinità terrena; la natura animale e l’accettazione supina son l’«essere cose nel mondo», e da esse ci si riscatta con un atto imperioso di liberazione morale. La storia di questa emancipazione è la storia della vittoria della moralità sulla naturalità, culminante in quella unificazione dell’uomo con la natura posta a conclusione de3lla filosofia bruniana.
L. Geymonat, Immagini dell’uomo
Commenti
Posta un commento