Il tema dell’utopia caratterizza anche i pensatori appartenenti alla Scuola di Francoforte. Qui, nel 1931, proseguendo ricerche iniziate già dal 1923 ad opera dell’«Istituto per le ricerche sociali», Max Horkheimer (1895-1972) riunì intorno a sé un gruppo di giovani studiosi, che, avvalendosi della « Rivista per la ricerca sociale», vennero progressivamente elaborando una comune teoria critica della società. Con questo nome si intende designare un complesso e di discipline, dalla filosofia alla sociologia alla psicologia, miranti a «promuovere la teoria della società nel suo complesso» mediante «una comprensione immanente», ovvero uno studio che comprenda la realtà attuale della società industriale avanzata nei suoi meccanismi interni, e ne promuova così una trasformazione.
Con l’avvento del nazismo l’Istituto venne chiuso, ma la collaborazione dei diversi componenti (tra cui ricordiamo oltre a Horkheimer, Theodor W. Adorno, Herbert Marcuse, Erich Fromm, Walter Benjamin, Friedrich Pollock) non venne meno, proseguendo anche nell’esilio americano cui la maggior parte di essi fu costretta. Dopo la fine della guerra Horkheimer tornò a Francoforte dove riprese la direzione dell’Istituto e con lui ritornò in patria anche l’amico Adorno. Fromm e Marcuse invece continuarono a lavorare in America.[…]
La dialettica negativa
A questo compito di smascheramento si dedica la teoria critica, la quale, mediante un’analisi in cui intervengono congiuntamente discorso teorico e indagine empirica, mira a studiare le interrelazioni che esistono, proprio nella società, tra teoria e prassi. Per far ciò occorre servirsi di una ragione critica, di una ragione cioè che non identifichi essere e pensiero, realtà e ideale, essere e dover essere, prassi e teoria, ma ne preservi la distinzione. Ragione critica significa perciò ragione negativa, o, più esattamente, dialettica negativa. Dialettica che mantenga quindi la distinzione tra essere e pensiero, e sia critica contro tutte le frettolose identificazioni di essi. Sul piano logico ciò si esprime dicendo che il principio di identità, secondo cui A è uguale ad A, non esprime un fatto ovvio, da tutti riconoscibile e contestabile, ma semmai un dover essere, una legge a cui tendere, senza perciò che essa mai sia realizzata. Detto altrimenti, le totalità cui volta a volta il pensiero mette capo debbono essere smascherate dalla ragione critica come false totalità, in quanto soggette all’illusoria pretesa di eguagliare attualmente essere e dover essere. Di qui si intende come si sia potuto parlare, nei riguardi della Scuola di Francoforte, di un’utopia negativa.
Sotto i colpi di questa critica cadono tutte le filosofie e le ideologie: dalle metafisiche tradizionali al positivismo all’irrazionalismo, dall’hegelismo all’illuminismo allo stesso marxismo ufficiale. Tutte, trasformandosi in teorie positive, si sono condannate ad essere morte e ritualistiche ideologiche. Così facendo infatti esse hanno smarrito quella non identità di essere e pensiero che sola garantisce della verità e sola consente un’azione veramente trasformatrice e rivoluzionaria. Ciò non significa che da queste teorie non si possa trarre alcun elemento positivo, anzi in esse (e qui ci soffermeremo solo su illuminismo, hegelismo e marxismo, al cui riguardo l’analisi è più ampia) sono contenuti indubbiamente molti elementi utilizzabili.
Perone, Ferretti, Ciancio Storia del pensiero filosofico
Con l’avvento del nazismo l’Istituto venne chiuso, ma la collaborazione dei diversi componenti (tra cui ricordiamo oltre a Horkheimer, Theodor W. Adorno, Herbert Marcuse, Erich Fromm, Walter Benjamin, Friedrich Pollock) non venne meno, proseguendo anche nell’esilio americano cui la maggior parte di essi fu costretta. Dopo la fine della guerra Horkheimer tornò a Francoforte dove riprese la direzione dell’Istituto e con lui ritornò in patria anche l’amico Adorno. Fromm e Marcuse invece continuarono a lavorare in America.[…]
La dialettica negativa
A questo compito di smascheramento si dedica la teoria critica, la quale, mediante un’analisi in cui intervengono congiuntamente discorso teorico e indagine empirica, mira a studiare le interrelazioni che esistono, proprio nella società, tra teoria e prassi. Per far ciò occorre servirsi di una ragione critica, di una ragione cioè che non identifichi essere e pensiero, realtà e ideale, essere e dover essere, prassi e teoria, ma ne preservi la distinzione. Ragione critica significa perciò ragione negativa, o, più esattamente, dialettica negativa. Dialettica che mantenga quindi la distinzione tra essere e pensiero, e sia critica contro tutte le frettolose identificazioni di essi. Sul piano logico ciò si esprime dicendo che il principio di identità, secondo cui A è uguale ad A, non esprime un fatto ovvio, da tutti riconoscibile e contestabile, ma semmai un dover essere, una legge a cui tendere, senza perciò che essa mai sia realizzata. Detto altrimenti, le totalità cui volta a volta il pensiero mette capo debbono essere smascherate dalla ragione critica come false totalità, in quanto soggette all’illusoria pretesa di eguagliare attualmente essere e dover essere. Di qui si intende come si sia potuto parlare, nei riguardi della Scuola di Francoforte, di un’utopia negativa.
Sotto i colpi di questa critica cadono tutte le filosofie e le ideologie: dalle metafisiche tradizionali al positivismo all’irrazionalismo, dall’hegelismo all’illuminismo allo stesso marxismo ufficiale. Tutte, trasformandosi in teorie positive, si sono condannate ad essere morte e ritualistiche ideologiche. Così facendo infatti esse hanno smarrito quella non identità di essere e pensiero che sola garantisce della verità e sola consente un’azione veramente trasformatrice e rivoluzionaria. Ciò non significa che da queste teorie non si possa trarre alcun elemento positivo, anzi in esse (e qui ci soffermeremo solo su illuminismo, hegelismo e marxismo, al cui riguardo l’analisi è più ampia) sono contenuti indubbiamente molti elementi utilizzabili.
Perone, Ferretti, Ciancio Storia del pensiero filosofico
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