La crociata va ordinandosi. La monarchia s’atteggia a battaglia. Tornata alle abitudini dittatoriali di Luigi XIV, essa brandisce l’armi del XIV secolo e s’appresta per ogni dove ai colpi di Stato.
Di mezzo al grande fremito popolare dl 1830, la monarchia si smarrì d’animo per breve tempo e si ritenne perduta. Lo era infatti e la salvammo noi soli. Perdemmo una meravigliosa opportunità. Dimenticammo che l’indomani della vittoria è più assai pericoloso del giorno che la precede. Ebbri di trionfo e di orgoglio, noi piantammo spiegate le nostre tende sul terreno che dovevamo attraversare rapidamente e ci dicemmo, come fanciulli capricciosi, a trastullarci con l’armi dei vinti. La Diplomazia giaceva pressoché schiacciata sotto le barricate popolari, e noi la raccogliemmo quasi amica nelle nostre file, facemmo nostre l’arti sue e imprendemmo a scimmiottare, protocolizzando senza fine, i padroni sconfitti. Simili ad antichi condottieri, rimandammo liberi e armati i prigionieri della giornata: la monarchia era in mani nostre, prostesa al suolo; e come i cavaliere del medio evo, retrocedemmo noi repubblicani, due passi, quasi a darle agio di risalire a cavallo. Lo ricominciò con una tale costanza, con tanta unità di concetto, da farci arrossire delle nostre discordie e della nostra mollezza.
Giuseppe Mazzini Fede e avvenire
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