Passa ai contenuti principali

LA CURA


L’uomo non è, non si costituisce come tale, non diventa uomo in assenza di attività di formazione, senza che qualcuno si prenda cura di lui, interagisca con lui, abbia volontà e intenzionalità di formarlo e educarlo. Questo è un dato, minimale – si dirà - , banale, persino, ma su cui abbiamo certezza.
Su questo dato certo si innestano tutta una serie di incertezze e di nuclei problematici che talora assumono i caratteri dell’enigmaticità a partire dal problema-enigma di come mettere insieme e conciliare l’assoluta necessità di “coltivazione e cura”, senza di cui non si dà l’uomo (ciò che farebbe pensare – e di fatto è stato pensato e teorizzato – a una sorta di onnipotenza dell’educazione, a un’educazione che fa l’uomo), col fatto che l’uomo in qualche modo fa sempre da sé, e se non facesse da sé a niente servirebbero la coltivazione, la cura, l’educazione.
Problema che può essere sbrigativamente risolto e dissolto in molti modi tra cui quello di invocare il carattere attivo delle risposte del soggetto umano ma che, più radicalmente, diventa il problema se il formare sia un conformare a un modello, un far assumere una determinata forma, un progettare, o se sia più adeguata l’idea di un’attività suscitante-promuovente che è costitutiva dei soggetti, ma più nel senso del disvelare, del portare alla luce, una forma, che ha in sé una propria norma istitutiva ed è insieme, irriducibilmente e indisgiungibilmente data (e come tale vincolante) e costruita (e qui sta l’elemento di radicale problematicità) piuttosto che un progettarla-realizzarla in modo estrinseco. L’enigmaticità di espressioni come “diventare ciò che si è” sono indizio e spia dell’enigmaticità di fondo del problema formativo.
Ma restando al dato certo, ossia l’assoluta necessità perché l’uomo si costituisca come uomo o si sveli come tale, della presenza di qualcuno che si prenda cura di lui educativamente, si sarebbe tentati di pensare che – cosciente o no che ne fosse il suo autore – la centralità della categoria della Cura intesa come esistenziale in un pensatore così radicale come Heidegger (l’Heidegger di Essere e tempo) discenda proprio dalla centralità e assoluta originarietà e fondatività della cura in senso pedagogico.
La perfectio dell’uomo, il suo pervenire a ciò che esso, nel suo esser libero per le sue possibilità più proprie (per il progetto), può essere, è “opera” della “Cura”. Cooriginariamente essa determina anche quel modo di essere di quest’ente in virtù del quale esso è rimesso al mondo di cui si prende cura (l’essere gettato)
[1].
E ancora: “La condizione esistenziale della possibilità delle “preoccupazioni della vita” e della “dedizione” deve essere concepita come Cura in un senso originario, cioè ontologico”
[2].


Rita Fadda DAL “LOGOS” AL “DIA-LOGOS” APPUNTI PER UNA LETTERATURA PEDAGOGICA DELL’ERMENEUTICA


[1] M Heidegger, Essere e tempo, Utet, Torino 1969 (1927), p. 310.[2] Ibidem.

Commenti

Post popolari in questo blog

PERSONAGGI ED EVENTI FANTASTICI

La mente di un bambino piccolo contiene una collezione in rapida espansione d’impressioni spesso male assortite e solo parzialmente integrate: in parte aspetti della realtà visti in modo corretto ma in misura molto maggiore elementi completamente dominati dalla fantasia. La fantasia colma le enormi lacune della conoscenza di un bambino che sono dovute all’immaturità del suo pensiero e alla sua mancanza di adeguata informazione. Altre distorsioni sono le conseguenze di pressioni interiori che conducono ad interpretazioni erronee delle percezioni del bambino. Il bambino normale inizia la propria produzione fantastica con alcuni frammenti di realtà osservati in modo più o meno corretto che possono evocare in lui bisogni o ansie così violenti da coinvolgerlo totalmente. Speso le cose diventano così confuse nella sua mente che non è assolutamente in grado di separare le une dalle altre. Ma un certo ordine è necessario perché il bambino possa tornare alla realtà né indebolito né sconfitto, m

L'ETÀ DI AUGUSTO: LE CAMPAGNE MILITARI E LA SCONFITTA DI TEUTOBURGO

Il principato fu un periodo relativamente pacifico dal momento che l'obiettivo di Augusto era il rafforzamento dell'autorità di Roma: quindi egli si limitò a consolidare i confini dei territori e a respingere gli attacchi dei nemici. Tuttavia, mosso dalla convinzione che il dominio romano fosse la miglior garanzia di pace e tranquillità, tra il 27 a. C. e il 9 d. C. Augusto si impegnò in alcune guerre di conquista, assoggettando tutta la zona alpina e le regioni che attualmente corrispondono alla Svizzera, l'Austria orientale, l'Ungheria occidentale e a parte della Serbia e della Bulgaria. Quando progettò di oltrepassare il Danubio ed estendere l'Impero fino al mar Baltico, sottomettendo le tribù germaniche ivi stanziate, il suo esercito venne duramente sconfitto. Infatti nel 9 d. C. tre intere legioni caddero in un'imboscata dei Germani a Teutoburgo: ventimila uomini furono accerchiati e sterminati e il loro comandante, Publio Quintilio Varo, si uccise.

I neuroni specchio e l'empatia: Giacomo Rizzolatti