Il termine attaccamento per definire il legame madre-bambino è dovuto a J. Bowlby (1958) che lo introdusse per segnalare un comportamento del bambino ritenuto innato, tendente alla ricerca e al mantenimento della vicinanza a una figura specifica, che di solito è la madre. L’approccio etologico usato dall’autore si differenzia dai precedenti anche metodologicamente, poiché considera inadeguati allo studio della primissima infanzia sia il metodo retrospettivo proprio della psicoanalisi sia quello sperimentale tipico delle teorie stimolo-risposta. Pertanto sceglie di utilizzare l’osservazione diretta del bambino non in laboratorio, ma nel proprio ambiente naturale.
L’attaccamento è, per Bowlby, una classe di comportamento sociale intenzionalmente rivolto a provocare e mantenere la vicinanza di una persona che viene scelta come figura principale di attaccamento. Il neonato, ad esempio, si orienta attivamente verso stimoli di origine sociale (la voce, l’odore della persona che offre le cure); dispone di comportamenti di accostamento inizialmente basati su riflessi (grasping), poi costituiti dalla capacità di afferrare (prensione) e di avvicinarsi (locomozione). Le variabili che influenzano la scelta sono la prontezza dell’adulto nel rispondere ai segnali del bambino e la frequenza nel prendere l’iniziativa di un’interazione. Il legame che si forma, perciò, è indipendente dalle cure fisiche prestate e dalla quantità di tempo trascorso insieme; inoltre, è specifico e duraturo. Ciò che varia non è l’attaccamento, ma il comportamento di attaccamento, che può essere accresciuto o soppresso da fattori contingenti. Il comportamento di attaccamento assolve a un a funzione biologica, di difesa dai predatori, presente sia nei piccoli umani sia in animali di varia specie, e viene perciò attivato in situazioni avvertite come minacciose o di pericolo (Bowlby J. 1969). Noti esperimenti, come quello di K. Lorenz sull’imprinting nelle oche (1957) e quello di H. F. Harlow e R. R. Zimmermann sulle scimmie (1959), ipotizzavano che la formazione del legame non fosse necessariamente associata al nutrimento. La capacità precoce del bambino di orientarsi verso stimoli visivi, denoterebbe una tendenza innata a ricercare un contatto, così come il riflesso dell’aggrapparsi a ottenere una vicinanza.
Il bambino possiede due sistemi comportamentali predisposti a mantenere la prossimità con la principale figura di attaccamento:
é comportamenti di segnalazione, come piangere e sorridere, che hanno l’effetto di far avvicinare l’adulto: il pianto generalmente provoca una risposta tendente a farlo cessare, mentre il sorriso ottiene il risultato di prolungare le risposte e la presenza dell’adulto:
é comportamenti di accostamento, con i quali è il bambino che si avvicina.
B. Pojanghi, P. Nicolini a cura di Contributi di psicologia sociale in contesti socio-educativi
L’attaccamento è, per Bowlby, una classe di comportamento sociale intenzionalmente rivolto a provocare e mantenere la vicinanza di una persona che viene scelta come figura principale di attaccamento. Il neonato, ad esempio, si orienta attivamente verso stimoli di origine sociale (la voce, l’odore della persona che offre le cure); dispone di comportamenti di accostamento inizialmente basati su riflessi (grasping), poi costituiti dalla capacità di afferrare (prensione) e di avvicinarsi (locomozione). Le variabili che influenzano la scelta sono la prontezza dell’adulto nel rispondere ai segnali del bambino e la frequenza nel prendere l’iniziativa di un’interazione. Il legame che si forma, perciò, è indipendente dalle cure fisiche prestate e dalla quantità di tempo trascorso insieme; inoltre, è specifico e duraturo. Ciò che varia non è l’attaccamento, ma il comportamento di attaccamento, che può essere accresciuto o soppresso da fattori contingenti. Il comportamento di attaccamento assolve a un a funzione biologica, di difesa dai predatori, presente sia nei piccoli umani sia in animali di varia specie, e viene perciò attivato in situazioni avvertite come minacciose o di pericolo (Bowlby J. 1969). Noti esperimenti, come quello di K. Lorenz sull’imprinting nelle oche (1957) e quello di H. F. Harlow e R. R. Zimmermann sulle scimmie (1959), ipotizzavano che la formazione del legame non fosse necessariamente associata al nutrimento. La capacità precoce del bambino di orientarsi verso stimoli visivi, denoterebbe una tendenza innata a ricercare un contatto, così come il riflesso dell’aggrapparsi a ottenere una vicinanza.
Il bambino possiede due sistemi comportamentali predisposti a mantenere la prossimità con la principale figura di attaccamento:
é comportamenti di segnalazione, come piangere e sorridere, che hanno l’effetto di far avvicinare l’adulto: il pianto generalmente provoca una risposta tendente a farlo cessare, mentre il sorriso ottiene il risultato di prolungare le risposte e la presenza dell’adulto:
é comportamenti di accostamento, con i quali è il bambino che si avvicina.
B. Pojanghi, P. Nicolini a cura di Contributi di psicologia sociale in contesti socio-educativi
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