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INSEGNARE FILOSOFIA ...


Per metodo teorico-problematico intendo invece un metodo che ponga l’accento sui principali problemi trattati dalla disciplina, come per esempio i problemi della verità, della conoscenza, dell’essere, del valore ecc., nonché sulle risposte che a tali problemi sono state date nel corso della storia.
È del confronto scientifico-culturale fra il metodo storico e un metodo teorico problematico così inteso che mi occuperò in questa sezione.
In un precedente articolo ho cercato di mostrare che non sono state addotte ragioni che consentano di determinare l’indiscussa superiorità di uno dei due approcci sull’altro. Dal punto di vista che qui ci interessa – quello, appunto, scientifico-culturale – entrambi i metodi presentano dei pregi e dei difetti, ciò che li rende sostanzialmente equivalenti. Per questa ragione la scelta fra essi dovrebbe avvenire solo sulla base (a) degli aspetti della riflessione filosofica che si vogliono privilegiare in relazione alla propria personale visione culturale e (b) degli aspetti di tale riflessione su cui risulta opportuno far leva tenendo conto del concreto contesto scolastico in cui l’insegnamento della filosofia viene calato (indirizzi e anni di studio, tempi a disposizione ecc.). Una delle mie tesi è che, in buona o in cattiva fede, alcuni sostenitori del metodo storico abbiano “contrabbandato” per una quasi ovvia superiorità oggettiva del loro metodo quella che era più semplicemente una legittima preferenza soggettiva.
Nell’articolo appena menzionato prendevo le mosse da una rapida ricognizione delle ragioni a fondamento dell’attuale rimessa in discussione, se non della crisi, dell’insegnamento a impostazione storica. Queste ragioni possono essere sinteticamente ricondotte alla consapevolezza, negli ultimi decenni sempre più diffusa anche qui da noi, che il discorso filosofico, accanto ad una dimensione storica e “soggettiva”, possiede una dimensione teorico-argomentativa “oggettiva” che non può essere ignorata o lasciata in secondo piano. In Italia all’acuirsi di questa consapevolezza ha certo contribuito il progressivo affermarsi di modi di praticare l’indagine filosofica nonché di vere e proprie discipline speciali (logica, filosofia del linguaggio, filosofia della scienza ecc.) tradizionalmente associati ai vari indirizzi di filosofia analitica e di filosofia cosiddetta scientifica. Forse per questo si è manifestata la tendenza a ricondurre la contrapposizione fra approccio storico e approccio teorico-problematico alla contrapposizione, oggi divenuta di moda, fra “analitici” e “continentali”, oppure ad associare (in modo ancora più fuorviante) la preferenza per il metodo teorico-problematico all’interesse per l’epistemologia e per le forme di filosofia positiva e scientifica. Ma a mio parere tali accostamenti rischiano di intorbidare le acque perché in realtà aspetti teorico-argomentativi e conflitti tra visioni diverse del mondo e della storia riguardano l’intero complesso della nostra tradizione filosofica. Li ritroviamo tanto in Aristotele, San Tommaso, Kant, Hegel, Heidegger o Gadamer, quanto in Frege, Russell, Moore, Wittgenstein, Carnap o Quine. Si tratta di caratteristiche entrambe presenti in ogni filosofo che bene o male abbia inteso farsi sostenitore di una certa concezione generale e si sia preoccupato di produrre motivazioni a sostegno della propria posizione.
P. Parrini, L’insegmamento della filosofia, in a cura di Firrao e Handjaras, Rinnovare la filosofia nella scuola

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