Il principato fu un periodo relativamente pacifico dal momento che l'obiettivo di Augusto era il rafforzamento dell'autorità di Roma: quindi egli si limitò a consolidare i confini dei territori e a respingere gli attacchi dei nemici. Tuttavia, mosso dalla convinzione che il dominio romano fosse la miglior garanzia di pace e tranquillità, tra il 27 a. C. e il 9 d. C. Augusto si impegnò in alcune guerre di conquista, assoggettando tutta la zona alpina e le regioni che attualmente corrispondono alla Svizzera, l'Austria orientale, l'Ungheria occidentale e a parte della Serbia e della Bulgaria. Quando progettò di oltrepassare il Danubio ed estendere l'Impero fino al mar Baltico, sottomettendo le tribù germaniche ivi stanziate, il suo esercito venne duramente sconfitto. Infatti nel 9 d. C. tre intere legioni caddero in un'imboscata dei Germani a Teutoburgo: ventimila uomini furono accerchiati e sterminati e il loro comandante, Publio Quintilio Varo, si uccise. I Romani superstiti si ritirarono e il confine venne fissato sui fiumi Reno e Danubio. Gli storici raccontano che, quando Augusto apprese la notizia, cadde nella disperazione, aggirandosi inebetito nel suo palazzo e balbettando: "Varo, rendimi le mie legioni!".
Sul confine orientale, inoltre, restava il problema dei rapporti con i Parti, caratterizzati da un'antica inimicizia, che continuavano a rappresentare un pericolo. Augusto volle evitare uno scontro armato e si impegnò in una complicata azione diplomatica, grazie alla quale ottenne che i Parti restituissero le insegne prese a Crasso a Carre nel 53 a. C. e che l'Armenia entrasse nella sfera di controllo dei Romani, insieme ai regni di Asia Minore, di Tracia, del Bosforo e del Ponto. La preferenza di Augusto per la diplomazia rispetto alla guerra diede inizio a una nuova era nella politica estera romana, e fu seguita da molti suoi successori.
E. Cantarella G. Guidorizzi Materia Storia 2
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