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V. Sorrentino: Le ricerche di Michel Foucault


La fine del pensiero classico è segnata da una “frattura profonda”, che Foucault colloca a cavallo tra XVIII e XIX secolo. Mentre nel pensiero classico lo spazio dell’ordine costituiva il luogo comune alla rappresentazione e alle cose, nella modernità viene meno la trasparenza fra l’ordine delle cose e quello delle rappresentazioni: l’essere di ciò che viene rappresentato finisce per cadere fuori della rappresentazione, come emerge chiaramente in Kant, la cui critica contrassegna la soglia della nostra modernità. Nascono due forme nuove di pensiero: la filosofia trascendentale, per la quale è a partire dall’analisi del soggetto trascendentale che si dà il fondamento della sintesi fra le rappresentazioni, e le scienze della vita, del linguaggio e dell’economia, per le quali il fondamento dell’unità delle rappresentazioni sono delle realtà fondatrici “semi-trascerndentali” (lavoro, vita, linguaggio); per la prima volta l’uomo entra nel campo del sapere occidentale. Il filosofo chiarisce il senso di quel’affermazione dall’aspetto paradossale. Prima della fine del XVIII secolo non troviamo una coscienza epistemologica dell’uomo come tale; quest’ultimo, cioè, non è posto, allo stesso tempo quale oggetto e soggetto del sapere possibile. Nell’epoca moderna invece, l’individuo che vive, parla e lavora secondo le leggi dell’economia, della filologia e della biologia, può conoscerle e portarle alla luce.
La “nascita dell’uomo” è segnata da quattro “segmenti teorici”, che costituiscono quello che Foucault definisce il “quadrilatero antropologico”. In primo luogo, abbiamo l’analitica della finitudine. L’uomo è dominato dal linguaggio, dal lavoro e dalla vita: la finitudine dell’uomo affiora dunque nella positività del sapere ma, allo stesso tempo, è ciò a partire da cui soltanto tale positività può apparire. Il modo d’essere del linguaggio, del lavoro e della vita, infatti, ci sono dati rispettivamente dal nostro pensiero parlante, dal nostro desiderio e dal nostro corpo. Nel XVII e XVIII secolo il limite dell’uomo emergeva a partire da un rapporto con l’infinito: ci si interrogava sull’uomo alla luce di una verità assoluta. A partire da Kant avviene un mutamento di prospettiva, poiché l’infinito non è più dato e non rimane che la finitudine. L’uomo si costituisce quale figura della finitudine all’interno di una cultura che “pensa il finito a partire dal finito stesso”.
Vincenzo Sorrentino Le ricerche di Michel Foucault

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